Quando Brovedani importò la Fissan a Trieste, nel 1930, il primo “impianto produttivo” fu la cucina di casa sua, con fornello e pentolone.
Nel 1940 si trasferì finalmente in via D’Alviano, oggi via Alberti, con grandi macchinari che funzionavano a mano. La meccanizzazione avvenne alcuni anni più tardi. Negli anni ’50, Brovedani chiese ad un giovane elettricista triestino incontrato durante la prigionia nel campo di concentramento di Bergen-Belsen di creargli un sistema per far girare autonomamente una betoniera e migliorare così la produzione. Francesco Cascella, allora ragazzo, racconta così: “Dopo il rientro in Italia, ci ritrovammo che avevo 24 anni, quando io, Brovedani Osiride, il professor de Manzini e altri, andammo in tribunale a fare i documenti per il vestiario che ci avevano portato via al nostro arrivo nei campi nazisti. Tra noi ci si conosceva, eravamo allacciati da una sorta di amicizia e in quell’occasione ad un certo punto mi disse: «Senti Franco, tu sei elettricista: io ho una formula magica per fare soldi». Parlava della Pasta di Fissan, di cui aveva la formula, ma gli mancavano le macchine. Quindi andò a comperare una betoniera, proprio quella con cui si mescola il cemento, io e mio cugino Niti elaborammo l’impianto elettrico e la mettemmo in funzione nello scantinato di via d’Alviano. E con quella betoniera iniziò l’attività che fu la sua fortuna, perché questa formula magica lo portò davvero in alto, ma se lo meritava, perché era molto bravo, molto onesto e capace; non parlava tanto, ma pensava molto, aveva un’intelligenza superiore.”

Il passaggio al grande stabilimento in zona industriale avvenne nel 1965 e comportò un’ampia opera di modernizzazione dell’apparato produttivo.
E la Fissan decollò, diventando il marchio che è oggi.