Sabato 22 luglio, nel Teatro della Casa Albergo Osiride Brovedani di Gradisca d’Isonzo, è andato in scena
il secondo appuntamento del Festival di Teatro Sociale 2017 “P e r U n T e a t r o V u l n e r a b i l e”, con il pubblico disposto attorno a dei tavolini ricoperti da bianche tovaglie e ravvivati dalla luce di una candela. Nuova cornice, nuovo spettacolo, nuova modalità di presentazione, nuovo coinvolgimento del numeroso pubblico presente, invitato ad un aperitivo teatrale. “Aperitivo e racconti” annunciava infatti il programma della serata, intitolata “Il giardino del re”.

Era il re delle favole il padrone del giardino, era la fantasia dei presenti la regina della serata.
“Decidiamo di darci tempo, – la proposta e l’invito degli organizzatori – decidiamo di allestire un salone
delle feste e di invitare gli amici a stare con noi per un momento di condivisione e di esperienza.
Brindiamo!”

Ancora una volta Fierascena è riuscita a stupirci con questo nuovo originale allestimento. Ancora una volta una piacevole serata con uno stimolo alla riflessione, già presente nel titolo di questa terza edizione del Festival: “Nelle tue mani”. È nelle nostre mani il nostro destino, è nelle nostre mani la possibilità di cambiare, di apportare dei piccoli grandi cambiamenti, evitando di restare immobili ad attendere che siano gli altri, sempre gli altri, fuori e lontano da noi, a cambiare per noi, a fare quello che spetta a noi.

Dopo il saluto della regista Elisa Menon, dell’assessore Francesca Colombi e del Consigliere anziano della Fondazione Brovedani, il dottor Luigi Marizza, ha preso il via la performance, momento conclusivo e di condivisione col pubblico di un importante laboratorio con gli ospiti della Casa. Una serata dedicata al racconto di alcuni passaggi delle fiabe più note: Biancaneve nel bosco con i sette nani, la matrigna intenta a preparare la sua mela avvelenata, Cenerentola e la cara Fata. Il tutto realizzato con pochi oggetti di uso comune, perché questa è la magia del Teatro, che ci permette di vedere con occhi puliti e semplici tutto il mondo in un lenzuolo bianco.

C’era nell’aria il richiamo alle serate attorno al fuoco, o sotto le coperte al momento della buonanotte, o nel caldo invernale delle stalle, o all’ora dedicata alla lettura del maestro in un’aula scolastica…
Il momento del racconto e dell’ascolto, passato e futuro uniti da un filo sottile, generazioni che si incontrano e si passano il testimone, così ben raffigurate l’altra sera dalle persone anziane, coadiuvate da giovani attrici, che raccontavano favole con delicatezza, a passo di danza, e dai bambini accovacciati a terra in prima fila, intenti a guardare e ascoltare, condotti per mano dentro le storie.
Il racconto era arricchito da una performance di videomapping, che lo faceva diventare magia, immaginazione, realizzazione di un sogno: l’interno di un castello che si materializzava davanti agli occhi, un paesaggio invernale con la neve che sembrava scendere in sala, la corsa libera di cavalli che volavano leggeri verso il pubblico. Il mondo delle favole sembrava avvolgere tutti, Biancaneve e Cenerentola impersonate ora da una ora dall’altra delle attrici in
scena grazie all’apparire e scomparire di un abito, di una scarpina… tutti protagonisti della favola.

“Le favole si prendono cura di chi le ascolta e di chi le racconta, ci restituiscono tempo, spazio, attesa, incanto, spavento e meraviglia. Attraverso le favole ci prendiamo cura gli uni degli altri, recuperiamo il tempo umano della ” semina e del raccolto e della necessaria attesa per la maturazione del frutto, ritorniamo ad una dimensione in cui è possibile sedersi in cerchio e raccontare, in cui chi custodisce la memoria di una Comunità ha un ruolo ben preciso verso chi di quella Comunità rappresenta il futuro”. Un recupero del filo che unisce passato e futuro, che rende importante il raccontare come gesto profondamente umano, che crea solidarietà tra le generazioni, che rende giustizia al nostro tempo interiore in cui il bambino e l’adulto coesistono, e nel quale mai viene meno il bisogno di farsi condurre in una storia, di viverla, di immaginarla e di trarre forza da essa. Bravissime le attrici in scena Rita Addimanda, Anna Bonetti, Emilia Cattarin, Antonietta Penelli, Maria Pia Verzegnassi, Loredana Fioruti, Miriam Rizzo, Giulia Deboni, Stefania Onofrei e l’attore Paolo Fagiolo. Citiamo anche la regista Elisa Menon e la sua assistente Veronica Franzosi, il curatore del video mapping Luca Ferro e il direttore tecnico Marco Fabris.

Lo spettacolo, diviso in due parti, è stato inframezzato dal momento dell’aperitivo – altra novità della serata -occasione per coinvolgersi ancor di più tra attori e spettatori, per scambiarsi impressioni, per raccontare e ascoltare per poi reimmergersi nella magia della favola…
C’è una bellissima poesia di Silvia Vecchini che ben riassume lo spirito della serata, ma più in generale
di tutto il festival e del lavoro di Fierascena:

“Il più delle volte
non serve sprangare le porte
bruciare ogni fuso
vietarne il possesso, proibire l’uso
ci sarà sempre
una porticina aperta, una vecchina che fila
una scoperta
qualcosa che non sai neppure cos’è
uno sbaglio fatto apposta per te.
Non sempre, ma a volte 
occorre pungersi 
sanguinare un poco 
dormire tutto il sonno 
che viene dopo 
sorbirlo come una medicina 
per svegliarti diversa 
da com’eri prima.”

Per un Teatro vulnerabile è davvero un’opportunità offerta ai protagonisti e agli “spettattori” che a loro volta
diventano protagonisti ogni volta che si lasciano coinvolgere dalle provocazioni che partono dalla scena.
E va ringraziato il Comune di Gradisca d’Isonzo che sostiene il Festival e permette un lavoro di ampio
respiro che include laboratori, incontri, spettacoli, azioni sperimentali e interventi in contesti di criticità. Un impegno che, naturalmente, non si esaurisce nelle giornate del Festival ma che si configura come un percorso condiviso.
[…]
Il Festival è realizzato dall’Associazione Fierascena in collaborazione con il Comune di Gradisca
d’Isonzo, con il contributo della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia.

Articolo di Dorino Fabris per Voce Isontina del 29 luglio 2017