Osiride Brovedani

Osiride Brovedani (Trieste, 11 febbraio 1893 – 2 luglio 1970) è stato un imprenditore e benefattore italiano.

Uomo dalla complessa personalità, non è facile da comprendere e conoscere. Per penetrare nel suo mondo occorre nominare due sue creature: la Fissan e la Fondazione Brovedani.

In esse si racchiude, in un certo senso, tutta la vita di un uomo, che, dopo aver raggiunto l’apice della sua attività creativa e produttiva nella Fissan, si è voluto ricordare di quella che era stata la sua base di partenza ardua, difficile e sofferta, che lo indusse, in uno slancio di umana solidarietà ed altruismo, a voler risparmiare a quanti più giovani poteva le sue sofferenze e offrire loro la sua esperienza per affrontare la vita con quella serenità e sicurezza che a lui erano mancate.

Le frasi celebri di Osiride

“Xe meio guadagnar che perder”
“El sparagno xe el primo guadagno”
“Solo Dio xe infallibile”
“Un solo no pol far tutto”
“Imprestar porta scalogna”

 

Museo Casa
di Osiride Brovedani

Un museo che racconta una vita, un’epoca, un sogno.

La vita

Nato in una modesta famiglia, composta dal padre Giovanni, impiegato all’Ufficio Esattoriale Comunale, dalla madre Noemi casalinga e dalle due sorelle maggiori Aristea ed Armida, si impegnò fortemente negli studi fino a quando, mentre frequentava la seconda liceo scientifico, fu costretto ad interromperli per aiutare, con il suo lavoro, il padre che non riusciva a sostenere la famiglia.

Suo primo impiego fu il “galoppino tuttofare” al giornale “Il Piccolo”. In seguito, grazie alla sua versatilità ed intelligenza, riuscì a passare da “correttore di bozze” a “critico d’arte” nel giornale “Il Lavoratore”, che meglio esprimeva in quel tempo la sua ideologia politica. Nel frattempo non smise mai di studiare per conto proprio, spinto da una grande curiosità di conoscere e di sapere.

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Egli stesso scrisse un dramma mai rappresentato e fece anche l’attore, interpretando a Capodistria una parte importante nella commedia di Sem Benelli “La cena della Beffe” nella Compagnia di Moissi.

Il giornale lo inviò spesso a Vienna come corrispondente ed ebbe così l’opportunità di migliorare la conoscenza della lingua tedesca, approfondendo inoltre il suo amore per la letteratura germanica.

Nel 1930 passò dal giornalismo ad un altro lavoro: ad una fiera di Milano, il dott. Sauer, inventore dei prodotti Fissan, gli propose dì diventare rappresentante per tutta l’Italia dei suoi prodotti. Accettò il rischio di introdurre e propagandare una novità assoluta.

Gli inizi furono difficilissimi: la sua capacità, la sua volontà di affermarsi superarono ogni scoglio. Venne aiutato molto dalla moglie che, lasciato l’impiego di commessa di boutique, lavorò sempre accanto a lui, incoraggiandolo e sostenendolo. In quaranta anni fece della sua piccola ditta un’industria di importanza nazionale nel campo dei prodotti per l’igiene dei bambini.

Osiride Brovedani visse sempre modestamente, dedicandosi al lavoro e anche quando si sarebbe potuto permettere di più, si concesse al massimo qualche viaggio all’estero.

Aiutava i deboli e nel tempo libero, oltre a dedicare le sue attenzioni ai gatti del rione, si occupava di fotografia sviluppando le foto da solo, in un laboratorio allestito in casa. Non amava apparire né sentirsi protagonista, tant’è che anche quando partecipava ad incontri pubblici sedeva in ultima fila. La sua rinomata umiltà si rifletteva sull’aiuto silenzioso alle persone in difficoltà, a cui faceva giungere ragguardevoli somme, avendo cura che non conoscessero mai il nome dell’ignoto benefattore.

Il lavoro fu per lui lo scopo più importante e vi si impegnò fino alla fine dei suoi giorni.

 

La Fissan

 

 

Nel 1930 Osiride Brovedani ottenne dal dr. Sauer la concessione per la commercializzazione della Pasta di Fissan e successivamente, dalla Deutsche Milchwerke di Zwingenberg, anche quella per la produzione. Il nome Fissan è una sintesi latina da un imperativo categorico “Fissuram Sanare”: sanare le screpolature.

Iniziò in uno scantinato nella zona di San Giacomo, installando un piccolo laboratorio che diede vita alla ditta “Osiride Brovedani”.

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Ottenne poi anche la licenza per la “polvere aspersoria Fissan”. Osiride non si limitò ad essere il titolare della sua ditta: divenne chimico, tecnico, propagandista medico, pubblicitario, venditore e… distributore! La Pasta di Fissan veniva inserita in tubetti di alluminio e confezionata in astucci muniti dell’immancabile “bugiardino”. Tale confezionamento era affidato alle famiglie del rione di San Giacomo ma, attenzione, la merce veniva consegnata e poi ritirata da lui stesso in bicicletta! Osiride Brovedani promuoveva i prodotti Fissan contattando direttamente i medici, tanto che pasta e polvere venivano da loro prescritte.

Pur non essendo chimico elaborò la formula di due prodotti, Inavit e Inavit Base, che si rivelarono estremamente efficaci nell’azione di normalizzazione della pelle alterata; entrambi ebbero l’autorizzazione del Ministero della Sanità. Si occupò inoltre di una pomata per emorroidi e della Stria Fissan, preparato avveniristico per le smagliature.

Lo scadere della concessione coincise con i 72 anni di Brovedani. La casa madre aveva all’epoca deliberato la costruzione di un nuovo stabilimento nella zona industriale di Trieste e gli propose l’incarico di amministratore, che egli accettò. Dopo la sua morte, la moglie Fernanda affidò a Raffaele De Riù, di cui entrambi avevano apprezzato le qualità, il compito di amministrare la Fissan.

Lo stabilimento Fissan si ingrandì sotto la nuova guida aziendale e, anche attraverso la ricerca e grazie a nuovi impianti e tecnologie, la produzione fu ampliata con una vasta gamma di nuovi articoli per la cura della persona. Questo successo imprenditoriale contribuì a dare compimento alle ultime volontà della signora Fernanda Brovedani.

La prigionia

La sua origine semitica da parte di madre lo costrinse a una terribile prova durante la seconda guerra mondiale: nel luglio del 1944 venne arrestato e rinchiuso nelle carceri del Coroneo senza conoscerne la motivazione. Apprese in seguito che era stato accusato di “ascoltare Radio Londra”. Pochi giorni dopo fu deportato in Germania dove lo attendevano i campi di concentramento più tristemente noti: Buchenwald, Dora, Belsen. Durante l’internamento, scrisse un diario che malgrado le pressioni di un suo compagno di prigionia, il noto scrittore Giovannino Guareschi, non volle mai pubblicare. Dopo la sua morte, il manoscritto venne pubblicato dalla Fissan per onorarne la memoria e, stampato in ben trentamila copie, venne distribuito a tutti i farmacisti d’Italia e molti medici. Una seconda edizione, di altre trentamila copie, è stata pubblicata a cura della Fondazione Brovedani.

La montagna

Ebbe un amore e una passione davvero grandi per la montagna. Iniziò andando in gita con una bicicletta che si era costruito da solo, utilizzando i pezzi buoni di vecchie biciclette inutilizzabili. Più tardi, con i risparmi, acquistò una motocicletta con la quale cominciò a conoscere le Alpi. Il desiderio di avvicinarsi ad esse, e di conquistarle, crebbe in lui facendogli vincere l’innata paura del pericolo e divenire abilissimo scalatore; diceva che “lassù si è più che mai vicini a Dio”.

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Fu grande amico di Emilio Comici, con il quale divise molte gioie ed esperienze di alpinismo. Nel 1978 la Sezione XXX Ottobre del C.A.I. lo ha ricordato dedicandogli un sentiero alpinistico di accesso al Bivacco Comici, nel gruppo del monte Sorapis.

 

Per meglio vivere la sua grande passione, acquistò una villa a Camporosso (UD) che, nel 1995, venne permutata con una struttura alberghiera a Studena Alta (nella zona di Pontebba). Anche questa permuta ha una sua storia: una ragazza legata alla numerosa comunità napoletana di Tarvisio era innamorata della villa e sospirava di nostalgia ogni volta che vi passava davanti. Infatti, quando era bambina, vi si recava spesso con la nonna a fare visita alla signora Fernanda Brovedani. Fu quindi con lei che si realizzò la trattativa, con il sollievo di sapere che la casa di Osiride, realizzata dall’architetto Ramiro Meng, sarebbe rimasta in mani che ne avrebbero apprezzato il reale valore.

 

La struttura di Studena diventò un albergo interamente dedicato agli ospiti della Fondazione. I ragazzi del Convitto vi passavano i fine settimana tra camminate, natura e palazzetto del ghiaccio, mitigando così la malinconia dell’essere senza parenti, che nei giorni di festa si fa più forte; in estate gli anziani ospiti della Casa Albergo trovavano sollievo dalla calura dei mesi estivi.